Agosto 4, 2020 | 0 |
La riapertura delle aule avverrà tra molte incognite e una necessità: stringere un patto educativo tra famiglie, corpo docente e organizzazioni di territorio che faccia tesoro di ciò che abbiamo imparato nel lockdown.
Non è una questione dei metri giusti per distanziare banchi e nasi. Né soltanto di dispositivi di sicurezza. La riapertura della scuola italiana a settembre – di fatto affidata dalla ministra Lucia Azzolina ai singoli istituti – sarà una prova di carico del sistema Italia: famiglie, imprese, organizzazioni del Terzo Settore. Lo abbiamo sperimentato nel lockdown: una scuola a scartamento ridotto rende cortissima la coperta già corta delle famiglie italiane. Corta di tempo, di risorse economiche, di attenzione da dedicare. La scuola remotizzata è stata un costo sociale per bambini e adolescenti ma anche per tutto il loro mondo circostante. A partire dalle famiglie, le madri in particolare.
L’effetto sul carico familiare e il lavoro femminile.
Una indagine effettuata da un gruppo di ricerca del collegio Carlo Alberto di Torino su un campione di 1.250 donne occupate italiane mostra che il 68 per cento delle donne lavoratrici con partner ha dedicato più tempo al lavoro domestico durante il lockdown rispetto a prima, il 29 per cento ha dedicato lo stesso tempo e solo il 3 per cento ne ha dedicato di meno. Quanto ai partner, solo il 40 per cento ha dedicato più tempo al lavoro domestico.
La riapertura a singhiozzo della scuola avrebbe dunque un primo effetto nell’aumentare questa diseguaglianza interna alle famiglie di carichi di cura, con gli immaginabili riflessi sui tassi di occupazione femminile che già oggi sono tra i più bassi in Europa. Mentre infatti “recessioni del passato (ad esempio, la crisi del 2008) avevano avuto un impatto negativo sull’occupazione maschile nella industria manifatturiera, ma meno pesante su quella femminile, impiegata in settori meno esposti al ciclo, il periodo di lockdown ha prodotto conseguenze più simili tra donne e uomini”.
Un nuovo patto educativo.
Ma c’è un altro tema che ci spinge a parlare di scuola a cancelli ancora chiusi, sfuggendo alla tentazione di vivere l’estate come se tutto possa proseguire in autunno “come prima”. E sta nella certezza che la crisi accentuerà le diseguaglianze nel nostro Paese. E che la scuola può e deve essere il primo argine. A una condizione: metterla al centro di un nuovo, vero patto educativo.
Possiamo sintetizzare il concetto così: gli istituti scolastici – con i loro 830.000 docenti di cui 200.000 precari, con circa 8,3 milioni di studenti e una spesa pubblica ferma all’8% contro il 10,2% della media europea – devono diventare da subito incubatori di vocazioni e agenzie di eguaglianza. Devono farsi parte attiva nell’interpellare gli altri soggetti del territorio per diventare luoghi di scambio sociale partecipato con mondi altri – imprese profit, imprese sociali e organizzazioni del Terzo settore, associazioni di volontariato – che le popolino di significati nuovi in un’ottica di responsabilità sociale di territorio.
Sarebbe bello che l’anno più duro dal Dopoguerra fosse anche un anno costituente per stipulare questo patto educativo, chiamando a raccolta tutti i soggetti coinvolti: non solo i genitori e gli insegnanti, ma anche tutte le imprese e le organizzazioni del territorio. Non ci aspettiamo che questo movimento possa arrivare dall’alto ma da un protagonismo dei soggetti che sui vari territori hanno a cuore il tema dell’educazione come chiave di eguaglianza tra le generazioni.
Risorse ed enti locali.
Serve uno sforzo notevole in termini culturali prima che di risorse economiche.
Innanzitutto vanno ripensati gli spazi, per riconvertire l’esistente affinché possa allargarsi all’ambiente esterno. Nuove “aule di cortile” che sfruttando le necessità del distanziamento spezzino la asimmetria tra cattedra e banchi, inventino gerarchie nuove tra chi apprende e chi insegna. Occorre poi allungare le scansioni orarie, investendo parte dei fondi europei in arrivo a finanziare la voce risorse umane e co-progettando con le associazioni attività educative che vadano oltre i confini dei “programmi”. Ma soprattutto occorre riattivare i circuiti nervosi tra i soggetti che possono entrare in questo patto educativo e le loro sinapsi con gli enti locali, dando ai Comuni il ruolo di mediatore tra i soggetti, le conoscenze e le esperienze dei territori per innescare logiche aperte di co-progettazione sui percorsi educativi. In alcune città come Milano sta già avvenendo con il progetto la Scuola Sconfinata che ha consegnato al sindaco Giuseppe Sala un manifesto programmatico di azioni possibili.
Cooperative, imprese sociali, organizzazioni di volontariato, enti locali: per tutti si tratta di popolare la scuola per far sì che la sua coperta da corta diventi più larga e colorata.