Agosto 3, 2020 | 0 |
Anche se il termine comunemente utilizzato è stato quello di “Smart Working”, credo che sia chiaro come questo termine sia poco adatto a descrivere la situazione che stiamo vivendo e che forse sia meglio utilizzare il termine “Home Office”: le dinamiche, il lavoro e gli obiettivi sono rimasti quelli tipici del lavoro d’ufficio, gestito (talvolta maldestramente) con strumenti nuovi, pensati e strutturati per qualcosa di molto diverso (Smart Working) da quello che stiamo realmente facendo (Home Office).
Ma l’emergenza, come spesso succede, ha spinto molte aziende a riconsiderare il proprio “schema di gioco” e a farsi delle domande sugli effetti dell’utilizzo dello Smart Working sulla performance e sulla motivazione dei collaboratori: per dirla in termini formativi, è più facile pensare ed accettare di introdurre il cambiamento quando siamo già stati violentemente buttati fuori dalla nostra individuale e collettiva zona di comfort.
In questo articolo vorrei condividere alcune mie riflessioni per aiutare quelle organizzazioni e quei manager che stanno interrogandosi su come sviluppare le esperienze fatte in Home Office e consolidare nuove modalità di utilizzo e valorizzazione, anche parziale, dello Smart Working.
L’esperienza che stiamo vivendo sta mostrandoci come, tra le attività che abbiamo potuto svolgere da casa in Home Office (non sono tali quelle che richiedono una presenza fisica in azienda, ovviamente), alcune si siano dimostrate facilmente adattabili – plug&play – al lavoro in remoto mantenendo (se non spesso addirittura aumentando) la produttività originale, mentre altre abbiano sofferto moltissimo per le mutate condizioni lavorative.
Ognuno di noi ha potuto osservare un diverso impatto del lockdown sulle proprie differenti tipologie di attività: ruoli diversi hanno avuto risultati di produttività diversi, ma anche all’interno degli stessi ruoli si sono registrati risultati molto differenti sulla base delle competenze, dell’autonomia e delle “predisposizioni personali” di chi li ricopriva.
Non ho raccolto dati quantitativi statisticamente significativi né avuto accesso ad analisi affidabili ma, limitandomi a riflettere sulle mie personali e frequenti osservazioni del fenomeno, mi sono convinto che il successo o l’insuccesso delle differenti esperienze ruota intorno a quattro punti chiave:
Alcune attività progettuali con obiettivi ben definiti e con tempi e competenze necessarie ben identificate sono state svolte in Home Office con una concentrazione e focalizzazione che in ufficio non è neanche lontanamente ipotizzabile. Altre attività, che richiedono invece confronti continui capo/collaboratore o tra colleghi e che hanno obiettivi e/o tempi continuamente mutevoli, hanno collezionato risultati fortemente insoddisfacenti durante il periodo di lavoro in lockdown.
Chi è dotato di maggiore autonomia ed esperienza e, soprattutto, chi apprezza la concentrazione e la riduzione dei disturbi si è trovato avvantaggiato, mentre chi era appena entrato in azienda o ricopriva un nuovo ruolo da poco tempo ha avuto bisogno di confronti continui e si è trovato in forte difficoltà. Da rilevare come molti Millennial si siano trovati benissimo e non abbiano avuto difficoltà a confrontarsi con strumenti e metodi di comunicazione più digitali e più simili a quelli utilizzati abitualmente (chat, wiki, videoconference, ecc.). Noi analogicissimi Generazione X abbiamo invece trovato qualche difficoltà iniziale o complessiva.
Prima del lockdown, alcune organizzazioni si erano già dotate di strumenti di videocall (Webex, Microsoft Teams, ecc.) o di sistemi di pianificazione e controllo degli stati di avanzamento dei progetti (Pert, Gantt, Planner, ecc.) che hanno permesso una gestione a distanza dei collaboratori ordinata e coerente, mentre altre organizzazioni si sono trovate ad adottare in fretta e furia strumenti nuovi unendo la novità del mezzo con la criticità di applicare una modalità lavorativa differente. Si è potuta osservare frequentemente in tutto il suo fulgore la ben nota tendenza a forzare gli strumenti nuovi per adattarli alla modalità di lavoro abituale, invece di sfruttare appieno le potenzialità innovative dello strumento.
Una criticità ulteriore, che manterrei in una categoria distinta, è lo stile di leadership: alcuni responsabili hanno compreso immediatamente che il cosiddetto micro-management o il controllo continuo non erano più applicabili in Home Office e si sono adeguati accelerando l’applicazione delle tecniche di empowerment e di gestione per obiettivi (già apprese magari in training allora considerati poco applicabili!), mentre altri hanno cercato, fino allo sfinimento personale, di gestire i collaboratori con meeting quotidiani, call continue e un anacronistico monitoraggio dei tempi di login!
Se anche l’emergenza rientrasse e potessimo suonare la campanella del “tutti in ufficio!”, credo sia corretto e necessario ripensare criticamente alle settimane di Home Office sperimentate in questo periodo per codificare ed applicare nuove modalità di gestione di Smart Working vero e proprio, in modo da conservare il maggior numero possibile di caratteristiche positive tra quelle che abbiamo osservato e vissuto.
Per farlo, però, dobbiamo lavorare sui quattro elementi sopra citati (attività, persone, strumenti, leadership) e investire in formazione, sistemi e organizzazione del lavoro in modo da sviluppare quegli embrioni di preziose potenzialità intraviste in questo periodo, che da anni ci affanniamo a cercare di sviluppare: progettualità/creatività, autonomia, interconnessione ed empowerment.
Penso che sia giunto il momento di lavorare sullo sviluppo di un vero Smart Working non più visto come una “tassa da pagare” per attrarre e trattenere i Millennial, ma come uno strumento manageriale diverso da utilizzare, quando possibile, in alternanza al lavoro in ufficio.
Il periodo di lockdown ci insegna che possiamo farlo, avendo l’accortezza di modularlo per attività specifiche (progetti o analisi complesse), ben tempificate, supportate da software efficaci ed affidate non a tutti i collaboratori indiscriminatamente, ma sicuramente a quelli dotati delle giuste competenze e correttamente formati per lavorare in autonomia.
Ma soprattutto è risultato evidente come sia necessario continuare ad aiutare e spingere i leader ad evolvere il loro stile di gestione per renderli più adeguati e a loro agio sia nel definire e assegnare obiettivi precisi che nel valutare i collaboratori sui risultati e sull’impatto sul business, piuttosto che sui tempi di risposta alle inutili e-mail di controllo o sui tempi di login al sistema.
Confido nella capacità umana di crescere sulla base delle esperienze, anche e soprattutto di quelle più difficili e sofferte.